Vincenzo De Falco

LA CARTOLINA

 

Collecchio, 18-12-18

Cara mamma,

Non abbiate alcuna preoccupazione per il piccolo orologio di papà che ho con me; lo mantengo con la massima cura e spero di riportarvelo presto in buone condizioni. In quanto ai capelli, vi sarò se mi direte con precisione cosa debbo fare, per il momento li lascio crescere, poi li pettinerò come mi direte. Il caminetto funziona dalla mattina alla sera; ed in quanto a freddo non ne soffro davvero. Vi raccomando le notizie di zio Peppino, a cui ho scritto due volte ma rimanendo fin’ora senza risposta. Anche notizie di papà, aspetto!

Via abbraccio tutti affettuosamente,

Vostro figlio

 

Questa cartolina esiste davvero, ed ha realmente viaggiato tra Collecchio e Napoli nel dicembre del 19J8. Quale fosse la vera storia, chi fossero i personaggi, non è dato di sapere. Io ho provato ad immaginare qualcosa…

Collecchio, 18-12-18

 

Mamma.

Mamma Voi.

Voi, Mamma.

Questa casa ha un odore diverso. Mi sono abituato alle porte, al pavimento, al colore del cielo, al freddo. Ma non all’odore. Non è odore di casa.

Mammina cara.

Cara Mammina.

Cara mamma, io sto bene, Voi come state? Voi, mamma.

La cartolaia ha voluto due soldi, per la cartolina. Caro. Ho scelto la più economica. Voleva a tutti i costi vendermi una cartolina con su una donnina tutta colorata. "Sono francesi", diceva, "sono una novità". E mi guardava. Voleva leggermi dentro, lei. Sentivo i suoi pensieri: "E questo bel giovanottino da dove viene? Dal fronte? Cosi giovane… Già congedato? Si prende un periodo di vacanza? Qui l'aria è buona, sa?". "Desidera altro?", mi ha detto. "Una busta. Gialla".

Figlio mio, che nascondi sotto il mantello? Non posso aprirlo, mamma. Non ancora.

Potrei stare a guardarlo per ore, quest'orologio. Se faccio in modo che la luce batta sul vetro, riesco a riflettermici. Sono magro. Mamma dice che ho i lineamenti talmente dolci che potrei essere scambiato per una femmina. Avrà una bella sorpresa, quando mi vedrà con i baffi.

Cara mamma,

 

Carico la molla. "La molla dell'orologio è delicata, come una donna. Non devi mai forzarla troppo, altrimenti potrebbe spezzarsi. Come tua madre, insomma!", e rideva. È tanto che non vedo mio padre. O forse non l'ho mai visto. Ora sono un uomo, sono grande, la gente mi rispetta. La padrona di casa mi sorride, ogni volta che mi incrocia nel corridoio. "Tutto bene, signor Tenente?", mi chiede. Signor Tenente… Neanche a questo sono ancora abituato. Né ai colpi di cannone, che mi pare ogni tanto di sentire ancora, in lontananza. "Non aver paura, angelo mio, Sono solo tuoni, e la casa è forte, non crollerà per un temporale! Non ti preoccupare!".

Cara Mamma, non vi preoccupate, per l'orologio.

Voi, mamma, non dovete preoccuparvi.

Cara Mamma, non abbiate alcuna preoccupazione.

Per l'orologio.

Per il piccolo orologio.

Per il piccolo orologio di papà.

L'orologiaio mi ha offerto venti lire, per l'orologio di papà. Più di quanto potessi aspettarmi. Gliel'ho lasciato senza discutere. Comprerò un mantello nuovo, e delle ghette.

Non abbiate alcuna preoccupazione per il piccolo orologio di papà che ho con me; lo mantengo con la massima cura e spero di riportarvelo presto in buone condizioni.

"Che bel mantello, Signor Tenente! È nuovo?". Le ho sorriso. Oggi non ho voglia di parlare. Fa freddo. Il mantello è caldo, ma sento freddo nelle ossa. Voglio tornare. Ma non voglio tornare a casa. Oggi mi chiamo Lucia, ed ho la vita stretta, e la gambe lunghe e ben tornite, fasciate da calze nere, ed il busto che mi soffoca, ed i seni che pare vogliano esplodere. Oggi sono Lucia, anzi sono Marie, la chanteuse, e mi basta scuotere appena la testa, impercettibilmente, perché i miei lunghi capelli rossi ondeggino come messi scosse dal vento, ed il loro profumo si spanda nell'aria, e quel tenentino di fanteria, seduto come tutte le sere nel palco di prima fila, mi sorrida inebriato, ebete. Troverò dei fiori nel camerino, e lui verrà a trovarmi, dopo lo spettacolo, e mi offrirà da bere, e mi porterà nella sua stanza, e stanotte resterò con lui, ed i miei lunghi capelli saranno la sua coperta, e si perderà tra le mie gambe, e respirerà sui miei seni. Poi si addormenterà, ed io mi alzerò piano, andrò nella cucina, aprirò la credenza, prenderò un coltello, e ad una ad una taglierò le ciocche, e le vedrò cadere sul pavimento.

Ditemi se secondo Voi, Mamma, trovandomi in congedo potrei smettere di indossare la divisa, o se la cosa vi appare poco dignitosa.

Riguardo alla divisa.

In quanto alla divisa, vi sarò grato se mi direte cosa debbo fare. Se mi direte con precisione cosa debbo fare.

Ditemi Voi, Mamma.

Ditemi, mamma, se un tenente in congedo, ora che la guerra è finita, può girare senza la divisa, e può lasciare che gli si allunghino i capelli.

I capelli rossi.

Mi sono innamorato di una ragazza coi capelli rossi, rossi come i Vostri, Mamma.

Si chiama Marie, ed ha i capelli rossi.

Rossi come il fuoco.

Rossi come il fuoco dell'inferno, Mamma.

Vengo assalito da ricordi remoti. Ricordo i suoi capelli, io nella culla, lei di spalle, a pettinarsi, seduta davanti allo specchio. La chiamo. "Mamma, mamma, mamma, mamma". So dire poco altro. Si volta, mi sorride, "Dormi, angelo mio". Papà non c'è, "Papà lavora tanto, quando sarai grande anche tu lavorerai, come lui, ma per ora stiamo insieme, io e te, tu ed io". Sì, mamma. Abbracciamoci, posso ancora darti del tu. E sei tu a vestirmi, a scegliere ciò che dovrò indossare, a pettinarmi i capelli, e a tagliarmeli, quando diventano troppo lunghi. Da quanto tempo non sento le tue mani, mamma? Scusatemi, mamma, le Vostre mani.

In quanto ai capelli, vi sarò se mi direte con precisione cosa debbo fare, per il momento li lascio crescere, poi li pettinerò come mi direte.

Marie è partita. La gente già pensa al Natale, d'altra parte manca poco più di una settimana. Non tornerò a casa, per Natale, non vedrò mia madre, né suo marito, né suo fratello. Cenerò con la padrona di casa, e sognerò Marie. Di lei mi rimane una fotografia, ma il grigio non rende giustizia del fuoco dei suoi capelli. Rimedio io. Getto la fotografia di Marie nel fuoco e la vedo bruciare lentamente, accartocciarsi, avvampare, diventare cenere, poi fumo che in lente volute sale su per il camino, e si perde nell'aria. Non è giusto che Marie se ne vada così, da sola. Prendo il mio diario, sul quale ho annotato tutto ciò che mi è successo nell'ultimo anno, sul quale ho scritto i nomi dei miei compagni di trincea, sul quale ho tracciato le sensazioni che speravo mi avrebbero potuto tenere compagnia negli anni a venire. Prendo il mio diario, e pagina per pagina lo getto nel fuoco. La sua cenere coprirà la cenere di Marie. Il suo fumo si unirà al fumo di Marie.

Dio come soffro, mamma.

Mamma, ditemi se avete mai sofferto per amore, o se avete conosciuto mio padre, Vostro marito, il giorno del matrimonio. Mamma, io guardo questo fuoco, e soffro, ed il suo calore non riesce a sciogliere il gelo che ho dentro.

Mamma, io vorrei piangere, e vorrei che tu stessi accanto a me, e mi rimboccassi le coperte, e mi cantassi la ninna nanna.

Stanotte non riuscirò a dormire. Resterò a guardare il fuoco, e vedrò la legna bruciare, poi diventare brace, poi cenere fredda Poi spunterà una nuova alba.

Il caminetto funziona dalla mattina alla sera; ed in quanto a freddo non ne soffro davvero.

Vorrei che mio fratello fosse qui, ora, accanto a me. Gli parlerei, e riderei con lui, e berremmo insieme, e ci ubriacheremmo, ed usciremmo nella notte in cerca di svaghi illeciti, e la gente ci guarderebbe da dietro le finestre, e mormorerebbe, e saremmo felici. Ma non ho un fratello. Perché Voi, mamma, non avete voluto. "Tre è il numero perfetto, come la Santissima Trinità", diceva lui, e rideva. "Guarda quel perdigiorno di tuo zio, sempre in giro, senza un lavoro, tutto il contrario di tua madre, che è una Santa!".

Mamma, Voi siete una Santa.

Mamma, Voi non avete avuto il coraggio di scrivermi che Vostro fratello è morto.

Mamma, Voi non volete dirmelo, perché lui era il diavolo, ed ora sta all'inferno, e non volete che io lo sappia.

O forse non me ne parlate perché è fuggito con una donna tanto più giovane di lui, ed ha rubato i soldi che Vostro marito gli aveva prestato, ed ha gettato il disonore sulla nostra famiglia.

Perché lui era il diavolo, mentre Voi siete una santa.

Mi manca, zio Peppino. Era così diverso. È stato lui a portarmi al casino, quando ho compiuto diciottanni. È stato lui che mi ha fatto provare il sigaro, e mi ha fatto bere la prima volta. È stato lui che mi ha parlato delle donne, e me le ha fatte conoscere, ed amare. È stato lui che mi ha fatto capire cosa volesse dire questa guerra, e mi ha fatto detestare le regole, e sognare la libertà, e desiderare la trasgressione, e odiare mio padre.

Vi raccomando le notizie di zio Peppino, a cui ho scritto due volte ma rimanendo fin’ora senza risposta. Anche notizie di papà, aspetto!

Mamma, vorrei scriverti che non tornerò a casa, e che, finita questa licenza, mi congederò definitivamente, e partirò per la Francia, e andrò a vivere con degli amici che ho conosciuto al fronte, e probabilmente scriverò, o dipingerò, e amerò donne semplici e vere, coi capelli rossi, o biondi, o bruni, e mangerò quando avrò da mangiare e dormirò quando avrò un posto dove dormire. E avrò un figlio, e non lo costringerò ad arruolarsi, anche perché costruirò un mondo in cui non ci saranno più guerre. Vorrei scriverti che ti voglio bene, ma non tornerò a Natale, né dopo, né verrò più a baciarti. Vorrei scriverti che ti ringrazio per quello che mi hai dato nei miei primi anni di vita, e vorrei scriverti di dire a mio padre che, nonostante tutto, lo perdono, anche se lui non capirà mai di cosa debba essere perdonato. E invece ti scriverò una cartolina uguale a tante altre che già ti ho scritto, e tu mi risponderai come tante altre volte. Una sola cosa vorrei veramente che tu sapessi, che Voi, mamma, sapeste: io vivo.

Via abbraccio tutti affettuosamente,

Vostro figlio